Perché “fare le cose bene”. Storia del Don Giuseppe.

No, in realtà perché FATE le cose bene. Una frase, una storia. Davvero troppo lontana e troppo poco interessante, ma ve la racconto lo stesso.

I miei genitori un giorno qualunque della mia infanzia decisero di farmi frequentare il catechismo. Si sa, un tempo era molto in voga quest’usanza dell’insegnamento cattolico, come viene chiamato invece oggigiorno (credo). Ma forse anche oggi va alla grande, a ben pensarci. Al catechismo ebbi modo di conoscere IL (al nord oltre al catechismo era ed è tutt’ora in voga l’articolo davanti ai nomi propri, lo sapete) Don Giuseppe. Che detto così sembra più il nome di un capo mafia, ma tant’è. Si chiamava così e ce lo facciamo andare bene. Il Don Giuseppe era un caro parroco (caro in tutti i sensi probabilmente, viste quelle bustine bianche che ti faceva trovare nella cassetta delle lettere, “Mi raccomando, donate i centoni al Centro Pastorale!”, certo come no. E comunque anche i suoi successori l’avrebbero fatto in seguito, ma quella dei suoi successori è un’altra storia).

Comunque, il caro Don Giuseppe era solito, prima e dopo la consueta lezione di catechesi, aspettarci al cancello del Centro Pastorale sorto coi nostri centoni, e pronunciare la frase che dà il titolo a questo blog appena sorto ma senza centoni:  FATE LE COSE BENE.
Sebbene il Don Giuseppe non avesse il tocco gentile (i suoi scappellotti nessuno di noi gradiva riceverli, ve l’assicuro), le sue parole erano molto efficaci, visto che tutt’ora mi ritornano in mente come un mantra. Ok, con questo non vuol dire che io faccia sempre le cose bene, però posso convincermene da oggi in poi. Dopotutto, anche le cose fatte male possono essere fatte pienamente male, giustamente male, del tutto male. Bene male insomma.

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